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Feng Shui: progettare con il corpo


Il processo progettuale è un complesso sistema di relazioni che non può essere affrontato solo a livello cognitivo e mentale. Quando parliamo di benessere, comfort, qualità ambientale, stiamo osservando come il corpo della persona immerso nello spazio reagisce agli stimoli architettonici, che - interagendo con i cinque sensi - producono un effetto sul corpo che si traduce in sensazioni ed emozioni.
Potremmo definire l’atto progettuale come la capacità di costruire esperienze sensoriali nello spazio, di creare il contesto emotivo capace di aderire al profilo psicologico delle persone che lo vivono.

Attraverso il Metodo SpazioUmano applichiamo gli strumenti del Feng Shui unendoli alla progettazione architettonica e ad importanti strumenti della tradizione naturopatica occidentale (come l’uso del test kinesiologico, la lettura psicosomatica della persona, la teoria del colore sencondo AuraSoma) e filtrandoli attraverso il setaccio di una rigorosa analisi e applicazione concreta nella pratica progettuale.
Questo approccio si nutre di una visione – che possiamo definire olistica – capace di mettere in relazione le stratificazioni di significato che si generano durante il processo progettuale.

Lo spazio diventa quindi un luogo capace di tradurre i bisogni più profondi delle persone, di raccontarle, di restituire loro quel senso di appartenenza che rende la casa un territorio di narrazione e creazione di significati.

Feng Shui ed Embodiment

Questo metodo di lavoro consente di riappropriarsi di una visione e di strumenti che hanno accompagnato per secoli il fare architettura, unendo le competenze tecniche a una sensibilità che passa necessariamente dalla percezione fisica, corporea.

Quindi progettare non solo con la testa (le competenze logiche, razionali e tecniche, archetipicamente maschili) bensì unendo a questa il “sentire” del corpo (le compente istintive, intuitive, percettive, archetipicamente femminili).

Le più recenti ricerche in Neuroscienze applicate all’architettura, attraverso il concetto di embodiment (una sorta di “spazio incarnato”), hanno portato in luce come nella fruizione dello spazio il nostro cervello percepisca un continuum fra il corpo e il contesto circostante, e di come questo fenomeno influenzi le nostre sensazioni e i nostri pensieri. Non esiste separazione fra il “dentro” e il “fuori”, e questo è un concetto da sempre sostenuto dal Feng Shui e oggi anche le ricerche neuroscientifiche stanno giungendo alle stesse evidenze, se pur partendo da presupposti diversi. Tutto converge in una visione unificante dove gli opposti si incontrano e generano nuove congruenze di significato.

Il test Kinesiologico applicato alla progettazione architettonica

Abbiamo quindi due importanti livelli di lettura che collegano la relazione fra spazio, corpo e percezione fisica:
1 - da un punto di vista progettuale la percezione corporea del progettista è un elemento imprescindibile del processo progettuale che può essere sviluppata e sostenuta attraverso esercizi specifici. A questa aggiungiamo l’utilizzo del test kinesiologico che il progettista può fare su se stesso e sul cliente, per settare le scelte specifiche che emergono nel lavoro in sinergia con i futuri abitanti (vedremo meglio di cosa si tratta fra poco).

2 - da un punto di vista di interazione fra spazio e persona, è attraverso la percezione corporea che il soggetto instaura un profondo legame con lo spazio che vive, e in questo senso l’ambiente costruito deve raccontarlo e restituirgli un’immagine coerente, simile all’effetto che proviamo quando ci guardiamo in uno specchio, così da ri-conoscerci nell’immagine architettonica dello spazio.

Il test kinesiologico applicato alla progettazione ha quindi una duplice finalità operativa.
Da una parte ci consente di testare sul cliente i materiali, i colori, le posizioni delle postazioni fisse (letti, scrivanie, sedute, etc.) e in generale tutte le qualità architettoniche specifiche e archetipali che vogliamo introdurre nello spazio. Chiaramente questo tipo di lavoro parte dal presupposto che ciascuno di noi ha delle necessità specifiche che lo differenziano da tutti gli altri.

Tanto per fare qualche semplice esempio, ci sono persone che soffrono – vanno in stress – in presenza di colori troppo accesi negli ambienti, mentre ci sono soggetti che hanno bisogno di contesti cromatici fortemente stimolanti. Non esiste “giusto” o “sbagliato”, ma la cosa che meglio risponde ai bisogni della persona, e individuarli permette di allontanarci così da scelte architettoniche basate principalmente su richieste di ordine cognitivo, di gusto, di moda, per andare invece a soddisfare quella parte profondamente “saggia” di noi stessi con la quale “comunichiamo” durante un test kinesiologico.

Anche il progettista può sviluppare un ascolto profondo delle reazioni del proprio corpo immerso nello spazio, ed utilizzare il test Kinesiologico su se stesso per confermarle o meno.

Come architetti non siamo abituati a pensare al nostro lavoro in termini di percezione corporea, perché tutto è spostato a livello di creazione cognitiva. La nostra esperienza ci conferma che l'unione di questi due piani complementari può arricchire il lavoro, attraverso una visione integrata che porta valore alla progettazione, un valore misurabile in termine di confort, benessere e restituzione di significato al mondo del costruito.