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La casa vissuta ai tempi del coronavirus


E improvvisamente ci ritroviamo a vivere le nostre case come non avevamo mai fatto prima!!!
Potrebbe sembrare la frase conclusiva di un romanzo, e invece è la chiara rappresentazione di ciò che sta accadendo in questo periodo di emergenza sanitaria.
La casa da sfondo delle nostre vite proiettate su un quotidiano lavorativo vissuto all’esterno, si è trasformata in protagonista delle nostre giornate.
L’esigenza di stare a casa 24 ore su 24 ci sta tutti esponendo alla potenza o alla fragilità del sistema abitativo che occupiamo; le domande e le riflessioni interiori nascono spontanee: chi non si sta interrogando sulle scelte abitative che ha fatto?

Qualcuno con gioia, tanti forse con rabbia e frustrazione.

Ma che cos’è che definisce uno spazio abitativo di qualità?

Sembrerebbe ovvio partire dall’analisi degli interni, chiedersi se i mq o le altezze sono quelle appropriate, se i materiali e il tono cromatico funzionano, ma mai come oggi credo possiamo comprendere come la qualità di uno spazio interno sia strettamente interconnessa a ciò che accade all’esterno!

In un periodo estremo come quello che stiamo attraversando è più facile rendersi conto di questo aspetto: chi di noi ha l’opportunità di avere un’abitazione o un appartamento con la visione su un ambiente esterno aperto, luminoso e con elementi naturali è sicuramente in una posizione privilegiata rispetto a chi ogni mattina si sveglia con la sensazione di essere “blindato” dentro casa, con gli affacci coperti da edifici e la luce che raggiunge con difficoltà gli interni.

Un effetto simile può essere riconosciuto anche da chi di noi si ritrova a vivere un appartamento che affaccia verso Nord: la luce non si presenta mai dentro casa, e l’impossibilità di godere dei raggi luminosi diretti può diventare un fattore ambientale che stimola un umore sottotono fino ad attivare stati depressivi (vedi l'articolo "Luminosità abitativa e depressione"), che non aiutano a gestire la complessa emotività di questo periodo.

Nella storia dell’evoluzione del sistema abitativo la scelta del luogo e l’orientamento rispetto al sole sono sempre stati i primi e indiscussi elementi di progetto, e la casa si andava poi a definire modellandosi sul Genius Loci.
Senso di protezione alle spalle e apertura, visione, luce e controllo dello spazio davanti non erano solo aspetti collegati a un bisogno evoluzionistico di sopravvivenza, ma parlavano e tutt’oggi raccontano anche qualità archetipiche. Le “spalle” della casa coperte rimandano a un istintivo senso di protezione, di stabilità, di radici. Il fronte aperto, che riceve luce, si connette al nostro innato bisogno di vedere, cercare, esplorare davanti a noi, stimolando il nostro senso di direzione.

L’analogia corpo-casa nel Feng Shui e l’embodiment in neuroscienze

L’interno del sistema abitativo dovrebbe organizzarsi plasmandosi sulla struttura dell’ambiente esterno.

Nel Feng Shui si dice il “Grande influenza il piccolo”. Quando la zona notte si sviluppa rivolta sul contesto esterno più calmo e protetto e l’area giorno verso lo spazio più aperto che garantisce possibilità di visione e orientato in modo da sfruttare appieno il ciclo solare, allora stiamo creando le premesse indispensabili per sviluppare un progetto interno di qualità.

Esattamente come accade nel nostro corpo: la schiena protettiva che fornisce struttura e supporto, e il davanti che interagisce e si mostra agli altri. E’ questa polarità del corpo (chiuso dietro e aperto davanti) che definisce il nostro senso di movimento nello spazio, che guida la nostra relazione ed immersione nel mondo. Ci lasciamo qualcosa alle spalle (il nostro passato, la relazione con la nostra famiglia di origine, il nostro senso di auto-protezione) per andare verso qualcosa che è davanti a noi (il futuro, ciò che ancora non conosciamo, la modalità e l’attitudine con cui ci muoviamo verso le nostre sfide).
E allora ecco che lo spazio si trasforma in luogo di significati stratificati ed archetipici, dove la materia trascende la sua fisicità per portarci in un territorio di nuove connessioni.

E’ scontato che lo spazio non possa essere considerato solo un contenitore, un assemblaggio di materiali e finiture, ma è prima di tutto quell’entità in cui proiettiamo e manifestiamo chi siamo, il centro di attivazione delle nostre vite quotidiane.

In neuroscienze si parla di embodiment – un termine che non ha ad oggi una traduzione in italiano - cioè quella capacità del nostro corpo di estendere i propri confini, espandendosi e proiettandosi nel contesto circostante.
Sarah Robinson (architetto e filosofo) in “Mind in Architecture” parla degli edifici come “estensioni dei nostri corpi in modi profondi e pervasivi” collegandosi al concetto di “body schema”, che definisce le ampie relazioni che il corpo innesca in interazione allo spazio che lo circonda, andando a registrare la sua postura nell’ambiente.
Il corpo sembra così perdere i suoi confini per aprirsi a un campo di interazione che permea tutto ciò che lo circonda. La fisicità del corpo si unisce a quello dello spazio attraverso una fittissima rete di connessioni neuronali.

Un possibile incontro di visioni fra Feng Shui e neuroscienze

Leggo in queste evidenze neuroscientifiche concetti che confermano visioni olistiche: lo spazio intorno a noi si configura come un continuum dove ciò di cui ci circondiamo entra in profonda connessione neuronale con la nostra mente, e diventa quel fattore che intercorre a modificare i nostri pensieri, le nostre emozioni, in una parola il nostro benessere!

La struttura dello spazio è portatrice di significati, che superano la densità della materia considerata come semplice elemento architettonico/compositivo, ma le restituiscono un valore simbolico, emotivo, metaforico.
Forse dopo questa pandemia, smetteremo tutti – ma proprio tutti! a partire da noi architetti - di pensare allo spazio come a qualcosa di inerte, e impareremo a saper gestire tutte quelle molteplici interconnessioni che lo rendono un elemento vivo, capace di creare una sinergia positiva e di sostegno con i suoi abitanti.